Gilgamesh Re di Uruk

MUSEO DELLE MURA AURELIANE

ROMA
marzo – maggio 1996

F.G. Modena

testi
Giovanni Pettinato
Luigi Campanella
Francesca Borruso

 

 

uomorossoda “CONCEPI’ L’IMMAGINE… DISEGNO’ LA SAGOMA”
Tremila anni fa, mille anni prima di Omero, prima del sorgere del logos occidentale, prima ancora del prevalere delle immagini verosimili e perfette, forse prima delle immagini della memoria cosciente, alle origini della vita urbana, alla nascita della prima forma di scrittura del mondo…
È qui che Roberta Pugno va a cercare la rappresentazione dell’oggetto del desiderio, nel momento del passaggio fra l’epoca dei primordi e la nascita della storia, va a cercarla nella più antica epopea dell’umanità che narra le gesta di un leggendario eroe sumero, “Gilgamesh di fiero splendore”.Il primo che chiederà consigli non più a un essere immortale, il primo che racconterà i sogni a un essere umano, che sconvolgerà gli ordinamenti divini, il primo sovrano laico della Mesopotamia.
Va a cercare una giusta distanza: l’epopea di Gilgamesh è più vicina a noi delle pitture e dei graffiti della preistoria, è più lontana e, per ora, meno conosciuta dell’arte dei Babilonesi, degli Assiri, degli Ittiti, degli Egiziani, dell’arte minoica e greca; eppure, come hanno dimostrato gli scavi archeologici e lo studio dei testi originali, questi popoli sono tutti debitori ai Sumeri per le conquiste umane, culturali e sociali…“
Lei è come un’ombra”,… ed emerge sfumata la prima immagine del diverso, con una luminosità interna, i contorni mossi da veloci passaggi di luce, appare come una figura che avanza verso di noi da un deserto ventoso e gli occhi, abbacinati dal sole, non riescono a definirla. Sono queste le rappresentazioni degli “sciamani”, primo nucleo della mostra e filo di una ricerca continua che va dallo sciamano all’eroe che cerca la vita, al medico che inventa la vita.
Lo ‘stimolo’ delle parole dell’epopea, lo ‘stimolo’ dei rapporti e della teoria nella ricerca di analisi collettiva in cui la pittrice si muove, la suggestione delle architetture, delle sculture, degli oggetti, dei timbri e delle tavolette dell’arte sumera… forse a monte delle immagini di questa mostra, pià che di ispirazione, si può parlare di vitalità e di risonanza, di echi e di rimandi a volte intuiti ed elaborati, a volte sconosciuti a chi li traduce in opere.
Questa è la ricerca sull’inconscio che non si fa oggetto solamente di sé stessa, ma cerca e propone una conoscenza oltre l’oggettivazione o l’arrestarsi di fronte al limite dell’immagine trovata e poi rappresentata.
È anche un fluire continuo, con una grande e spericolata libertà di passaggi, con un registro che va dall’astratto al figurativo, a incursioni nel simbolo ségnico, che va da una pittura fortemente materia fino ad una pittura tonale…

Francesca Borruso

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