Immagineparola

Case Romane del Celio

Roma
maggio – giugno 2018

Core Edizioni

testi
Mariana Giustini 
Simona Maggiorelli 
Franco D’Agostino 
Giampiero Minasi 
Roberto Toso 
Eva Gebhardt

 

A339C26E-221A-4228-8977-6999BE0AE452da “PRESENTAZIONE”

Una forma d’arte, quella delle immagini della pittrice-filosofa Roberta Pugno, e una forma di sapienza, quella dei percorsi etimologici di Antonio Di Micco, si incontrano per raccontare di un possibile dialogo tra l’universalità del “pensiero per immagini” e la profondità della storia delle parole, impronte percepibili di trasformazione culturale.
I temi affrontati sull’essere umano, sulla identità personale e sociale, sono di quelli intorno a cui si sta svolgendo l’ampio dibattito politico-culturale che, in un periodo di crisi sistemica come la nostra, tenta di dare nuove risposte antropologiche ad una diffusa insicurezza che va oltre la sfera economica.
Il progetto si muove ad ampio raggio e tocca dimensioni a volte conosciute, manifeste e condivise, a volte più profonde, oggetto della sola indagine mentale.
Roberta Pugno, con le sue risonanze e gli affondi nelle tappe più importanti dell’origine e della storia del pensiero, ci porta di immagine in immagine aprocedere dagli aspetti più concreti – la materia delle cose, la fisicità del corpo, l’animismo – agli aspetti più filosofici.
ll punto di riferimento, consolidato lungo la sua trentennale carriera artistica, è la Teoria della nascita, la geniale ricerca e teorizzazione scientifica sulla realtà psichica umana dello psichiatra Massimo Fagioli.
Antonio Di Micco arricchisce e oggettualizza questo cammino con il lavoro intorno ad alcune parole: materia, rosso, pensiero, sogno, suono, linea, volto, due, infinito. Parole pregnanti, talune raggiunte attraverso impervi percorsi etimologici, altre riportate al loro significato originario, da cui erano state allontanate al fine di costruire quel linguaggio ambiguo e astratto che caratterizza così spesso la nostra vita sociale. Il lavoro etimologico proposto si avvale delle coraggiose scoperte di Giovanni Semerano che ha svelato l’inganno dell’indoeuropeo e ha portato alla luce, nella ricerca di tutta la vita, una assai più scientifica origine sumero-accadico-semitica della lingua e della cultura europea.
Per entrambi gli autori ripercorrere il tempo, far emergere scoperte e svolte di pensiero, svelare inganni spesso millenari che hanno permesso alle varie ideologie di controllare la vita di persone e popoli, è un metodo di conoscenza irrinunciabile.E questa rivisitazione della storia, espressa in immagini o con la linea della scrittura, trova una magica collocazione in un “frammento importante della Roma sotterranea” come lo definisce Marina Giustini, in cui, nel volgere di alcuni secoli, si susseguono e si sovrappongono le infinite vicende personali degli abitanti intrecciate ai profondi cambiamenti di Roma stessa.
La più grande trasformazione, come ci raccontano gli studiosi, fu il passaggio dal politeismo orientale-greco-romano al monoteismo. Una cesura assai visibile in questo prezioso sito anche nel confronto delle differenti modalità pittoriche dei due mondi in cui quello vincente, il cristianesimo, decise purtroppo di porre ai margini della storia: la natura, la donna e una visione gioiosa della vita.

 

da “SOLTANTO DOPO MILLENNI SI ACCORSE CHE ESISTEVA UNA IMMAGINE SENZA COSCIENZA…”

Due grandi volti ci accolgono all’ingresso della esposizione e nella fusione del loro nome, “Donnaimmagine” e “Uomoparola”, sembrano suggerirci una corrispondenza assoluta tra i termini. Essi ci annunciano che immergendoci nella storia del mondo romano, si svolgerà davanti ai nostri occhi anche un’altra storia: la storia del rapporto tra le splendide immagini artistiche di una donna e le sapienti parole di un uomo. IMMAGINEPAROLA, l’altra fusione di termini che dà il titolo alla mostra, ci vuole con immediatezza dire di questa realtà. Ci dice: ora è possibile!
L’inizio è gentile, ma non possiamo non scorgervi dietro, la forza risoluta del rifiuto di una storia millenaria che viceversa ha voluto imporre la scissione.
La capacità di immaginare è la prima realtà dell’essere umano nato, quando la parola è ancora soltanto vagito. Così anche agli albori della specie. L’immagine fu subito poetica e potente, esprimendo quanto la parola non era ancora in grado di dire. Parlò con le pitture delle caverne.
Ci disse, con le Veneri del Paleolitico, di una realtà delle donne di partorire, di dipingere, di avere una voce così diversa.
Ci disse anche, nella floridezza esagerata di natiche e seni o nella flessuosità di incredibili silhouette, di una realtà misteriosa che era fantasia insieme al fluire della vita.
Colui che stava ad osservare, l’uomo, non si sottrasse al destino dell’invidioso e, non sapendo riconoscere la creatività propria agli esseri umani, pensò religiosamente ad un miracolo. Finché egli riuscì a mantenere il filo del legame con la donna, anche la parola si tenne stretta a colei, l’immagine, che l’aveva messa al mondo e nutrita. Gattonando, si ripeté per millenni nelle favole e nelle leggende, cercando di fissarsi nella voce e nella memoria degli esseri umani.
Cresceva intanto e quando riuscì a sollevarsi sui cunei della scrittura sumera ci raccontò unaciviltà politeista in cui l’uomo, al centro della nuova società urbana, si sentiva ormai protagonista della storia. Era Gilgamesh, il re, l’eroe, il semidio, che però non dimenticava di essere stato Enkidu, il selvaggio che era potuto divenire uomo solo grazie agli amplessi con una donna.
La parola scritta fu perciò poesia.
Si fece essa stessa immagine che, mantenendo il calore e gli affetti dell’oralità, tramandava ai posteri una sapienza antica in cui la logica necessaria a costruire canali ed edifici non cancellava un modo irrazionale di guardare alla realtà.
Poi, verso il VI-V secolo. a.C., sembrò arrivato il momento in cui la parola, col raggiunto vigore della sua età adulta, potesse farsi concetto, pensiero verbale capace, non più figlio ma compagno, di unirsi alla immagine, diventando insieme ad essa verità umana e conoscenza condivisa.
Furono religiosi e filosofi che la resero invece vecchia e deforme. Raccogliendo lo svolgersi di credenze religiose e concezioni patriarcali che si erano venute sedimentando nei millenni, prima silenziose, poi sempre più proterve, fecero dire alla parola che l’immagine era idolatria o una ancella sciocca. Che la donna era il male, che, inferiore agli uomini, poteva riscattarsi solo perpetuando in silenzio la specie.
Gli dèi non parlavano più con la voce dei poeti. Nella Bibbia, è il Dio trascendente invisibile a parlare in prima persona; attraverso il verbo avviene la creazione, con la parola si rivela ai profeti delle tre fedi monoteiste. Negli scritti dei filosofi greci, il Logos è parola, ma anche pensiero razionale. Finché i cristiani non unificheranno religione e ragione, e “in principio era il Verbo” starà ad indicare la volontà razionale del Creatore.
“Così il pensiero, di fronte alla donna definita irrazionale e causa della caduta dell’uomo, non varcò mai la porta che lo avrebbe condotto alla conoscenza della mente umana. Generò Abele buono e Caino cattivo come se volesse profetizzare la scissione tra inconscio e coscienza dicendo che la ragione deve uccidere la non ragione. Soltanto dopo millenni si accorse che esisteva un immaginare senza coscienza, ma, esso, non fu mai considerato pensiero”.
Perché si potesse parlare di pensiero per immagini, serviva un altro uomo, un uomo che nella donna, il diverso da sé, sapesse vedere la propria immagine interiore e sapesse trovare le parole per raccontarla. Questo scritto e, crediamo di poter dire, questa mostra, sono un omaggio e un grazie infinito a quest’uomo. A Massimo Fagioli.

da “UNA DONNA E UN UOMO”

Una donna e un uomo. Una sfida.
Immagini nate dal corpo e un pensiero che cerca di avvicinarsi
sempre di più all’origine. L’origine che non fu la parola.
La capacità di immaginare. L’origine materiale.
Una parola che racchiude la luce e gli affetti di una vita
può diventare inspiegabilmente… un pesce… una giraffa…
La fantasia che parla a modo suo: un sorriso, un gesto – ed è tutto cambiato.
Nel percorso della mostra di sala in sala la dialettica tra parole ed immagini
ci commuove, ci spaventa, ci sorprende, ci fa gioire.
La dialettica indicibile, lo scontro inafferrabile di due vite, vicine e lontane,
che momento per momento trovano il coraggio di rischiare:
“Il mio nome è rosso!” “Sono più rossa io!”
Le opere ricche e profonde di Roberta Pugno trovano
un contrappunto maschile nella ricerca sulle parole di Antonio Di Micco.
Esperimento ambizioso che sorprende nella sua novità assoluta
spazzando via gli accostamenti tra parole e immagini dell’arte contemporanea
che il più delle volte risultano freddi, lunari, cervellotici.
In questa danza tra due identità, umane e artistiche,
ci troviamo trasportati da una corrente calda ed armonica,
piena di significati multisfaccettati.
Due linee che si sfiorano, si incrociano, si accompagnano, verso l’infinito.
Il tuo volto è la mia immagine interiore.
In mezzo a bellissimi e antichi affreschi
troviamo, e riscopriamo, di fronte a noi parole e immagini
in un rapporto che è sempre stato pensato impossibile.

E quindi al di là degli accostamenti astratti dell’arte concettuale
non si è nemmeno tentato di superare questa scissione
sancita da millenni tra parola e immagine.
Il salto temporale tra l’antichità del sito e la proposta attualissima
crea un movimento che ci fa pensare ad una spirale
che genera un vortice propulsivo che ci fa viaggiare lontani.
Come in un sogno ci sembra di intravedere
che all’origine del linguaggio non c’era la consueta scissione
tra affetti ed espressione verbale, tra sentire e concetti.
La parola vera è quella che vibra e nel suono ci trasmette
una immagine indefinita, carica di sensazioni, vissuti, rapporto umano.
È così che, dopo mesi e mesi di silenzio e suoni non verbali,
nasce nell’essere umano la parola
in cui risuona il primo vagito del neonato.
Se possiamo facilmente osservare che così accade
anche oggi per ogni bambino, in qualunque lingua,
possiamo immaginare che fu così all’inizio del genere umano.
Nasce la parola, che sia nell’Homo Sapiens o nel Neanderthal,
sappiamo che nasce sullo sfondo delle meravigliose pitture silenziose
che troviamo nelle grotte o su pareti rocciose riparate.
La grandiosa scoperta di Massimo Fagioli
sulla nascita dell’essere umano ci dice
che prima del vagito del neonato ci sono venti secondi di silenzio.
Venti secondi in cui tutti sospendiamo il fiato
per poi commuoverci in una emozione travolgente.

di Eva Gebhardt

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